La Battaglia dell’Abisso – racconto fantasy

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racconto di Flavio Deri

Era una notte di tenebre e tormento. Un’oscurità fitta avvolgeva il mondo. La battaglia tra l’esercito dell’Est e quello dell’Ovest imperversava da ore. Fiumi di sangue si erano versati sul campo di battaglia e il vento portava con sé i pianti delle vedove.

L’esercito dell’Est era guidato dal nero condottiero Marcrise, maestro della guerra e cavaliere dalla ferocia smisurata. A condurre l’esercito dell’Ovest c’era un mago, un uomo anziano dai lineamenti segnati dal tempo e dalla saggezza, che si trovava solo in una vasta e desolata landa, lontano dagli occhi indiscreti dell’umanità. Il suo nome era Ambrose, ma pochi osavano pronunciarlo poiché era noto come l’Arcimago delle ombre.

Aveva un aspetto che incarnava la maestà dell’antichità e il sapere dei secoli trascorsi. La sua altezza era imponente, con un portamento eretto che suggeriva l’autorevolezza di chi aveva attraversato molte avventure e conosciuto i segreti più profondi dell’universo. La sua lunga barba bianca scendeva fino al petto, fluendo come una cascata d’argento.

Era densa e intricata, arricchita da ciocche d’argento che catturavano la luce e gli conferivano un’aura quasi celestiale. Anche i suoi capelli erano bianchi, raccolti in una coda di cavallo bassa e intrecciata con strisce di cuoio. L’anzianità del mago era chiaramente visibile, ma il suo sguardo brillante e penetrante tradiva un vigore interiore inestinguibile.

I suoi occhi, di un grigio intenso, erano profondi come l’abisso e avevano la capacità di scrutare l’anima di chiunque osasse incontrarli, rivelando una conoscenza millenaria e una consapevolezza di segreti che gli uomini comuni non avrebbero mai potuto comprendere.

Per quella battaglia indossava abiti dai colori scuri, simili a una veste di maglia intessuta di fili neri e porpora. Lunghe maniche adornate da rune antiche si arricciavano intorno ai polsi, mentre strisce di tessuto prezioso si intrecciavano lungo i bordi del mantello, vestigia di antichi rituali.

Sulla parte anteriore della veste, un’ampia cintura di pelle incisa era ornata da gemme sfaccettate, ognuna contenente sigilli che parevano danzare e avere un’energia propria. Dai polsi, pendevano braccialetti intrecciati di perle e pietre preziose, benché avessero fogge e aspetti diversi, sembrano poste in un modo specifico a uso del potente mago.

Sulle dita, indossava anelli incisi con simboli arcani e sigilli di potere. I suoi soldati portano armature dal color grigio scuro sorrette da lacci di cuoio nero, pesanti spade in acciaio con riflessi neri e scudi recanti il vessillo del mago: una torre bianca su sfondo viola con alla cima una luna nera.

Marcrise, invece, incarnava la sua terra e il suo esercito. La statura del generale era imponente, alta e muscolosa, gli conferiva un aspetto minaccioso e potente. I suoi lunghi capelli neri, sempre in disordine a causa dei venti di battaglia, sembravano danzare come le fiamme della distruzione.

Il suo volto era segnato da cicatrici, testimonianze di battaglie passate, e i suoi occhi brillavano di un freddo e malvagio fuoco, come se fosse stato toccato dalla stessa oscurità che lo circondava.

Il generale si ergeva maestoso, avvolto in un’armatura nera come la pece, robusta e spaventosa, che sembrava forgiata da empie mani per suscitare negli uomini il ricordo ancestrale delle cupe architetture e dei frastagliati paesaggi dei più profondi recessi infernali. Incisioni raffiguranti bestie umanoidi dalle fattezze di diavoli e ossa umane decoravano ogni pezzo dell’armatura.

Le placche articolate della corazza erano tempestate di simboli runici, luminosi e inquietanti, simili a braci ardenti. L’elmo, scolpito con maestria, aveva la forma di una maschera demoniaca contorta in uno sguardo di rabbia, con due corna sinuose a forma di spirale che sporgevano dalla sommità.

Una leggenda raccontava che questa armatura fosse stata forgiata da un demone e fosse ricca di potere magico. Gli spallacci e il petto erano adornati da punte affilate, evocando il terrore nei cuori dei nemici che lo affrontavano in battaglia. Ogni passo che faceva sembrava risuonare con l’eco delle battaglie perdute. Alcuni dei suoi capitani affermavano di aver visto il loro generale resistere ai potenti fulmini scagliati dai maghi nemici.

Gli spallacci e il petto erano adornati da punte affilate, evocando il terrore nei cuori dei nemici che lo affrontavano in battaglia. Sulla cintura portava una spada oscura, dalla lama dentellata, temuta come Lacrime di Vedova.

Si diceva che questa spada fosse stata forgiata con l’acciaio dei cadaveri dei suoi nemici e che avesse il potere di succhiare l’anima delle vittime, rendendo il portatore un condottiero invincibile.

I soldati dell’esercito del generale lo temevano quanto lo veneravano. La sua voce ruggiva come un tuono sul campo di battaglia e le sue parole erano legge assoluta. Nessuno osava contraddirlo o fallire nell’assolvere i compiti che lui impartiva, poiché la punizione sarebbe stata esemplare e spietata.

Per lui, la vittoria era tutto ciò che contava e non esitava a sacrificare anche i suoi soldati pur di raggiungere il suo obiettivo. La sua strategia era spietata e imprevedibile e i suoi avversari si trovavano costantemente un passo dietro di lui, incapaci di anticipare le sue mosse.

Molti ritenevano che il generale fosse stato maledetto dagli dèi, destinato a vagare per l’eternità come una forza demoniaca della distruzione. La sua sete di sangue e potere sembrava insaziabile e la sua fama di terrore si diffondeva come un’ombra funesta su ogni campo di battaglia.

Quella battaglia, nessuno sapeva bene da cosa fosse stata causata, ma nella mente di tutti era chiaro che il risultato avrebbe compromesso per sempre le sorti del mondo.

Mentre il clangore delle spade risuonava all’orizzonte, Ambrose incrociò le braccia sopra il petto, piegando la testa in segno di concentrazione. Iniziò il rituale di protezione, un antico e proibito incantesimo tramandato di generazione in generazione. La sua lunga barba bianca tremolava al vento e gli occhi penetranti sembravano scrutare l’anima di chiunque osasse fissarlo.

Con un suono sordo, il suolo intorno a lui si illuminò di una luce malva. Figure spettrali apparvero e lo circondarono, sussurrando parole di potere. Echi provenienti dal regno delle ombre risposero al suo richiamo, danzando in un vortice sinistro. L’energia magica fluttuava nell’aria, intrecciandosi con la rabbia e la paura dei combattenti nei campi di battaglia circostanti.

L’orizzonte si tinse di rosso mentre le fiamme delle città e dei villaggi divorati dalla guerra illuminavano il cielo notturno. Gli eserciti nemici si fronteggiarono, le loro armature scintillarono al chiarore delle stelle e della luna. Urla di guerra e pianti di dolore riempirono l’aria.

Mentre Ambrose iniziava il suo incanto, Lacrime di Vedova tra le mani di Marcrise mieteva vittime nell’esercito avversario, l’acciaio a protezione dei corpi dei nemici veniva violato dal filo della lama, passando da una parte all’altra i loro corpi, non esisteva cotta di maglia che potesse proteggerli.

Il generale cercava il suo nemico principale sul campo di battaglia senza scorgerlo, percepiva la sua potente magia ed era consapevole che doveva muoversi per ucciderlo se voleva vincere questa battaglia.

Nonostante l’orrore della carneficina, Ambrose rimase immobile, i suoi gesti incantatori non vacillarono neanche per un attimo. Con ogni incantesimo pronunciato, una barriera invisibile si ergeva, circondandolo e proteggendolo dalla distruzione che infuriava intorno a lui.

Ma poteva essere l’unico scopo di questo incantesimo? Proteggere solo sé stesso? A che scopo?

Un enorme alone nero comparve nel cielo notturno. Il suo frastuono echeggiò attraverso le valli, come un richiamo delle ombre a unirsi alla difesa dell’Arcimago.

Le ondate di magia e il respiro della creatura nata dalle tenebre si unirono in un vortice di potenza, un’aura oscura e opprimente si diffuse nell’aria. L’Arcimago delle Ombre era disposto a pagare qualsiasi prezzo per proteggere sé stesso, la sua magia oscura e insondabile.

La battaglia infuriò per ore, i cadaveri si accumulavano, ma né il mago, né tantomeno il generale non vacillarono. Finalmente, Marcrise La battaglia infuriò per ore, i cadaveri si accumulavano, ma il mago e tantomeno il generale non vacillarono.

Finalmente, Marcrise capii che il mago era in un punto preciso. Quell’essere che lentamente aveva assunto la sua forma: un’Idra con almeno sei teste, altra oltre tre metri che si sorreggeva su zampe simili alle ali di un pipistrello.

Aguzzando il suo sguardo, Marcrise vide Ambrose vicino alla bestia e, assieme a una manciata dei suoi guerrieri più assetati di sangue, partirono alla carica contro di lui. Macellavano qualsiasi nemico gli si parasse frontalmente, ogni vita che spezzavano era una preghiera alle loro divinità abissali.

L’energia vitale degli eserciti in guerra attorno ad Ambrose veniva canalizzata attraverso il suo potere, alimentando l’incantesimo di protezione. L’aura intorno a lui si faceva sempre più densa, e persino gli spiriti oscuri sembravano indeboliti dalla potenza dell’Arcimago.

Marcrise, giunto a pochi passi dal suo mortale nemico, iniziò a essere tutto molto più chiaro: non era solo un rituale di protezione, ma anche uno di consunzione. Avrebbe mangiato e consumato tutto e tutti, veloce e distruttivo. Per vincere e avere la vittoria totale, avrebbe consumato anche i suoi soldati.

L’aria intorno a lui era elettrizzata dalla tensione, mentre il cielo notturno si oscurava ulteriormente, quasi a celare quello che stava accadendo agli occhi del cielo. Con le braccia alzate verso il cielo, Ambrose iniziò a cantare in una lingua antica e perduta, parole che risuonavano nell’oscurità iniziando lentamente a dissiparla.

Le sue mani emanavano una luminescenza sinistra, mentre il potere magico fluiva attraverso di lui, avvolgendolo in un’aura di magia nera, inizialmente prese la forma di una patina nera che avvolse completamente il mago, per poi svanire dentro di lui mutando la sua pelle in un colore cianotico.

Un vortice si formò sopra di lui, un turbine di oscurità che sembrava aspirare ogni luce circostante. Sfoghi di energia mistica iniziarono a manifestarsi intorno al mago con brevi scariche elettriche dai colori bluastri, e una risata demoniaca si levò dalla sua bocca.

Il cerchio protettivo iniziò a espandersi con movimenti quasi impercettibili, poi gradualmente con scatti simili a spasmi. I suoi soldati, spaventati e ammirati, assistevano all’incanto, sapendo che stavano per vedere un potere mai sperimentato prima. Ma la loro lealtà nei confronti del mago era così profonda che non avrebbero mai dubitato delle sue intenzioni.

Il cerchio di potere iniziò a consumarli fino a ridurli in polvere, così come i cadaveri dei combattenti morti per difendere Ambrose. Le loro ombre invece prendevano vita e si gettavano sul mago.

L’effetto del rituale si abbatté sui soldati nemici che ancora si reggevano in piedi ma, non risparmiò nemmeno i morti.

Marcrise diede ordine ai suoi soldati di non fermarsi, ma di correre contro il mago per ucciderlo. Alcuni di loro tremavano dalla paura, altri accettarono gli ordini consci che sarebbero morti comunque per mano del loro generale. Caricarono a testa bassa correndo incontro a un’orribile morte. Vennero dissolti tutti.

I soldati dell’esercito di Ambrose avevano reazioni che andavano dalla catatonia, all’estasi, al puro terrore: alcuni scappavano mentre altri si immolavano contro la barriera per offrire potere al loro signore.

Con ogni energia oscura assorbita, il mago sembrava crescere in potenza e ferocia. I suoi occhi brillavano di un fuoco demoniaco e la sua voce riecheggiava con un eco spettrale. Le sue mani tremolavano mentre manipolava le forze delle tenebre.

Marcrise capì che, se avesse voluto vincere, avrebbe dovuto ucciderlo. Chiuse la visiera del suo elmo e, forte della sua armatura incantata, si gettò contro la barriera, la dissoluzione del suo corpo non avvenne come per gli altri, un urlo terrificante si udì risuonare dalla sua corazza, i disegni demoniaci lentamente si stavano dissolvendo.

A differenza degli incanti, che lentamente si stavano dissolvendo, la volontà del condottiero non cedette, passo dopo passo passò oltre la barriera anche se con un prezzo disumano di energie. La magia dell’Arcimago lentamente iniziava a consumarlo, brandiva Lacrime di Vedova che rimase intatta, l’energia della barriera però aveva mietuto altre vittime.

Mentre il suo portatore attraversava quella barriera mortale, la spada espelleva le anime dei guerrieri che con il suo filo aveva condannato a morte, ponendo quelle anime a suo scudo così da preservarsi.

Marcrise arrivò a pochi passi da Ambrose, ma dovette piegare le gambe, la dissoluzione mistica aveva danneggiato troppo la sua armatura, priva di quasi tutti i simboli demoniaci iniziò a cadere a pezzi e il suo corpo lacerato. Ambrose si chinò, allungò le mani sull’elsa di Lacrime di Vedova per poterla strappare dalle dita stanche e dilaniate di Marcrise.

Era molto pesante, ma questo non impedì al mago di sollevarla al cielo come un plateale gesto di vittoria. Abbassò il suo sguardo, nero come un pozzo, poggiò la punta della lama nella bocca del generale e fece una rotazione del polso in avanti, trapassandogli il cranio da parte a parte

Quando l’alba si levò all’orizzonte, i suoni della battaglia si placarono. Gli eserciti chetarono le armi e i superstiti si gettarono ai piedi di Ambrose, unico signore del campo di battaglia. L’Arcimago delle Ombre aveva vinto, ma a quale prezzo? La terra intorno a lui era segnata dalla morte e dalla devastazione. La guerra aveva lasciato un’impronta indelebile su tutti coloro che l’avevano affrontata.

Mentre Ambrose osservava il mondo ferito intorno a lui, una mescolanza di odio e sanguinario piacere si dipinse sul suo volto. Quello che non aveva considerato era che la magia oscura ha un prezzo e lui ne aveva abusato.

«Sei più morto di tutti coloro che hai sacrificato quest’oggi.»

Lui non sapeva da dove venisse quella voce, l’unica cosa di cui era sicuro è che si sbagliava.

Lentamente iniziò a dissolversi nel vento, come polvere soffiata via dal libeccio, rideva mentre la sua vita si spegneva come una fiamma alla fine dello stoppino.

Rideva mentre moriva.

I superstiti tornarono alle loro case gettando via insegne e araldiche, facendo finire i nomi di Ambrose, Marcrise e della Battaglia dell’Abisso nell’oblio.

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