Barbari, ladri e stregoni – racconto fantasy

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racconto di Ginevra De Rossi

Il nano e il goblin si guardano intorno tentando di raccapezzarsi. La grotta è scura, umida e fetida come le mutande di una meretrice e da essa si dipanano numerose gallerie.

«Te l’avevo detto di non toccare nulla là sotto, Lezzo.»

 Il goblin tira una gomitata stizzita al costato del nano.

«Quante storie, Feccia.» Bofonchia l’altro. «La mia etica professionale mi impone di sbirciare sotto ogni telo e dentro ogni cassetto.»

«Ti ricordo quell’affare che hai trovato la settimana scorsa nel portagioie di Bernabella Quattropolmoni, la Cortigiana.»

Feccia punta un dito ammonitore verso il compare.

«Ed è diventato un bellissimo fermacarte. Di sicuro il più lungo di tutto il paese.»

«Bene, sei riuscito a giustificare la tua tendenza a infilare le mani dappertutto. Ora come pensi di farci tornare indietro, dopo aver attivato lo specchio magico?»

L’eco rifratta di un cadenzato cantilenare si diffonde attraverso il sistema di caverne.

«Senti che roba. Neanche al festival delle voci bianche del Castracoro Antoniano passano lagne del genere.»

Lezzo porge l’orecchio per individuare la direzione.

«Dai, muoviti, mani di fauno, magari troveremo qualcuno o qualcosa che potrà riportarci indietro.»

Feccia strattona il compare e si avvia deciso verso la galleria più ampia.

 

«Tu che dici, Feccia?»

Il sussurro di Lezzo è appena percettibile.

La galleria li ha condotti fino a una piattaforma che si affaccia su una stanza circolare colma di candele avvizzite, teschi dipinti, grimorii in pelle, calderoni fumanti e prendisole rattoppati.

Un uomo dalla pelle scura, avvolto in una tunica color sudario bagnato, sta salmodiando incomprensibili blocchi di consonanti agitando le mani e muovendo in modo isterico la testa.

Al suo fianco un enorme serpente dal diametro di un nano gonfio di birra ondeggia al ritmo della cantilena.

Dinanzi a lui, un energumeno seminudo dai muscoli gonfi, legato a un pilastro verde melma, urla e si dibatte, sputando bava, bile e odio.

«Una vergogna. Incredibile!» Sbotta Feccia. «C’è veramente ancora gente che va in giro vestita solo con le mutande di pelo?»

«Chissà le irritazioni.» Lezzo si gratta la barba con disappunto. «Che facciamo, ve’?»

«Guarda!»

L’energumeno ha appena spezzato le corde e, con il viso trasfigurato da un’espressione di follia omicida si scaraventa sullo stregone gettandolo a terra, poi afferra la gola del serpente tra le braccia e stringe fino a soffocare il rettile ancora rintronato.

Si scaglia infine ancora sullo stregone e gli propina una serie di schiaffoni a palmo aperto.

«Dammi una mano, Lezzo.»

Feccia solleva una grossa pietra, aspetta che Lezzo giunga ad aiutarlo, poi entrambi iniziano a farla oscillare.

«E via!!!»

La pietra piomba in testa all’energumeno che crolla di colpo, privo di sensi.

«Avremo fatto la scelta giusta, Feccia?»

«Beh, se c’è qualcuno in grado di farci tornare indietro è sicuramente lo stregone, mica quell’ignorante d’un barbaro.»

 

«Alla fine è stato gentile, no? Ci ha riportati a Tetroborgo.»

Lezzo si spaparanza sulla sedia a dondolo in vimini e poggia i piedi su una cassapanca.

«Sì, un po’ fissato con piovre volanti, città sommerse e profezie sulla fine del mondo, ma una brava persona, dopo tutto. Basta non trovarselo a bussare alla porta di casa la domenica mattina.»

Feccia si scola l’ultimo goccio dalla bottiglia di fognavite.

«Però il barbaro sembrava uno tosto, Feccia. Chissà, se lo avessimo aiutato magari ora ci sarebbe un posto pure per noi nelle saghe sulle sue gesta.»

«Ma figurati. Conan dalle mutande pelose, giullare di tutta Cimmeria. Chi vorrebbe mai sapere di un fallito del genere?»

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